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Stili di attaccamento nell’infanzia

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Dott..ssa Monica Vivona

Stili di attaccamento e introiezioni

Ainsworth (1969), Lorenzini e Sassaroli (1995) individuano quattro stili di attaccamento: sicuro, insicuro evitante, insicuro ambivalente, insicuro disorganizzato.

Nell’attaccamento sicuro, la sicurezza dell’accessibilità materna rende il bambino tranquillo nello spingersi ad esplorare le novità. Le persone con attaccamento sicuro sono ragionevolmente sicure delle proprie capacità di risolvere i problemi e per questo tendono a testare le proprie ipotesi per eliminare quelle errate. Lo stile è quindi quello della ricerca attiva: la persona cerca di ottenere nuove informazioni e quindi di sottoporre costantemente alla prova le proprie ipotesi. L’atteggiamento è tipicamente esplorativo. Si può ipotizzare che questo tipo di attaccamento generi un introietto nel bambino: “sono una persona capace e attiva, l’ambiente è accogliente”.

I bambini con attaccamento insicuro-evitante hanno sperimentato più volte la difficoltà ad accedere alla figura di attaccamento e hanno imparato progressivamente a farne a meno, concentrandosi sul mondo inanimato piuttosto che sulle persone. Le persone con questo tipo di attaccamento si comportano come se gli altri non esistessero. Sul piano cognitivo instaurano una sorta di autarchia per cui non tengono conto delle invalidazioni fornite dagli altri. Lo stile cognitivo è quello dell’immunizzazione: minimizzano, fino ad annullarli, gli effetti dell’invalidazione. Ipotizziamo che questo tipo di attaccamento generi un introietto nel bambino: “devo essere autosufficiente, l’ambiente è inaccessibile”.

I bambini con attaccamento insicuro-ambivalente, avendo sperimentato l’imprevedibilità della figura di attaccamento, tentano di mantenere con lei una vicinanza strettissima, rinunciando a qualsiasi movimento esplorativo autonomo. A livello cognitivo, per evitare l’imprevedibilità, si muovono soltanto nel conosciuto, da cui sia bandita ogni novità. Lo stile cognitivo corrispondente è quello dell’evitamento: queste persone tentano di evitare le invalidazioni, non mettendo alla prova le proprie ipotesi. Ipotizziamo che questo tipo di attaccamento generi un introietto nel bambino: “devo farmi accettare dall’ambiente”.

L’attaccamento disorganizzato-disorientato si realizza quando la figura di attaccamento è sperimentata come minacciosa. Il caregiver è spaventato/spaventante. Il bambino è portato a leggere sul volto della figura di attaccamento se nell’ambiente esistano pericoli oppure no; nel caso della madre spaventata/spaventante egli riceve costantemente un messaggio di pericolo, e poiché non trova nell’ambiente alcun motivo che lo confermi, la madre diventa fonte di minaccia. Lo stile cognitivo è quello dell’ostilità: un modo di reagire alle invalidazioni consistente nel riproporre una costruzione della realtà che si è gia rivelata fallimentare, l’altro è da ignorare o sopraffare. Ipotizziamo che questo tipo di attaccamento generi un introietto nel bambino: “l’ambiente è minaccioso”.

 

Modelli Operativi Interni e livello cognitivo-verbale

La teoria dell’attaccamento sostiene che il bambino costruisce delle rappresentazioni di sé e della figura di attaccamento chiamate Modelli Operativi Interni (MOI). I MOI contengono la rappresentazione di sé e del caregiver nelle relazioni di attaccamento, organizzano pensieri e ricordi e guidano i comportamenti futuri di attaccamento.

Le esperienze di attaccamento nell’infanzia influenzano lo stile di personalità e di relazione nell’età adulta, regolano l’adattamento all’ambiente e alle persone.

I MOI filtrano l’informazione in entrata, l’elaborazione delle informazioni in uscita, innescando processi di attenzione selettiva, percezione selettiva, memoria selettiva, questo in modo inconsapevole per l’individuo. Questo avviene per un bisogno di coerenza da parte dell’individuo, che seleziona le informazioni congruenti con le proprie aspettative. Inoltre questo è un sistema per evitare e escludere in modo difensivo le informazioni che potrebbero far riattivare il sistema di attaccamento. L’individuo vuole evitare il dolore, mentre potrebbe essere molto doloroso l’affrontare la propria paura e il proprio bisogno di essere confortato e il non ricevere conforto e sostegno dalla propria figura di attaccamento, come è accaduto nell’infanzia. La sicurezza dell’attaccamento, che favorisce la sicurezza interiore e il senso di sé, è caratterizzata dalla capacità d chiedere conforto, oppure dalla capacità di esprimere il piacere di non essere in una situazione di pericolo. Gli individui con un attaccamento insicuro elaborano le informazioni in modo pregiudiziale, escludono dall’elaborazione le informazioni che potrebbero far attivare il sistema di attaccamento, poiché si aspettano, in base alle loro prime esperienze, di non poter essere confortati.
Possiamo collocare i MOI nel livello cognitivo-verbale, il livello che ci connette con il mondo attraverso la cognizione, ovvero il nostro modo di pensare, le nostre idee, il nostro linguaggio, la nostra cultura.“La nostra capacità di “riflettere” di volgerci indietro verso la nostra storia personale, crea il concetto che abbiamo di noi stessi, rinsalda la nostra identità e i ruoli che ci siamo assunti. (…). Il livello cognitivo-verbale rappresenta il livello dell’esperienza con il quale il bambino, per creare una teoria del sé e del mondo, lavora in modo attivo attraverso le proprie introiezioni, inizia a verificarle, ne sperimenta la validità o meno con l’azione”.

Gestalt incompiute e ground

L’esperienza di attaccamento, di appartenenza, è parte significativa del ground dell’individuo e costituisce lo sfondo, che può essere uno sfondo che sostiene oppure essere instabile. L’esperienza di attaccamento insicuro che un bambino vive, può rimamene nella sua vita come una situazione incompiuta. La storia di una persona e le sue situazioni incompiute fanno parte del suo ground, del suo sfondo, ma possono emergere in figura, in alcuni momenti di vita, se il bisogno legato ad esse diventa pressante. L’esperienza di un attaccamento insicuro è un fattore di rischio per la costruzione di un solido ground della personalità, poiché i bisogni primari insoddisfatti, vengono relegati nello sfondo, creando una trappola, poiché i bisogni non riconosciuti e non soddisfatti rappresentano delle zone d’ombra che bloccano e limitano il proprio potere personale.

Adattamento creativo e modalità di resistenza al contatto

“Nella ricerca di un adattamento creativo all’altro, o a un ambiente non sempre favorevole, l’individuo trova modalità di contatto e di relazione con le proprie figure di attaccamento sia soddisfacenti che insoddisfacenti (…). Soddisfacenti allorquando l’individuo le realizza in modo flessibile, mediando in modo costruttivo fra i propri e altrui bisogni (…). Le modalità possono prendere una forma rigida, a volte cronicizzata, per essere più rispondenti al contesto”.Il bambino ha bisogno di essere approvato dagli adulti di riferimento, e sviluppare un senso di appartenenza, così metterà in atto comportamenti che gli permettono di adattarsi all’ambiente.Quando il caregiver non è responsivo, non è disponibile, è incostante, i comportamenti di attaccamento (pianto, richiamo…) del bambino falliscono costantemente, il bambino è costretto a sviluppare strategie difensive che escludano queste dolorose informazioni dalla consapevolezza. Dobbiamo ritenere normale la variabilità delle modalità di resistenza al contatto dell’individuo, ma la sua rigidità, che si esprime in un impoverimento del funzionamento cognitivo, affettivo, interpersonale e del controllo degli impulsi, è patologica. Le modalità di resistenza al contatto, sono state attivate utilmente e in maniera funzionale in epoche evolutive precedenti, quando il soggetto, vuoi per l’età e per lo sviluppo, vuoi per la pressione rappresentata dalla carenza e/o dal trauma, non aveva altre risorse a cui attingere.Più queste modalità di resistenza al contatto saranno rigide, inappropriate all’età e alla situazione, tanto più procureranno ulteriore disagio soggettivo ed interpersonale. Sostanzialmente, la rigidità fa fallire lo scopo originario di tipo funzionale, per cui erano state attivate nel passato: se ad esempio è protettivo per un bambino piccolo stare vicino al caregiver, è meno praticabile per lui, diventato adulto, non poter recarsi al lavoro, se non accompagnato dalla propria madre! Dunque, una condotta adattiva e funzionale (la dipendenza) può divenire disfunzionale in un’altra circostanza. In questo esempio “la modalità di resistenza al contatto è una modalità con cui l’individuo interrompe la naturale tendenza a incidere e esplorare l’ambiente, per salvaguardare il suo senso di attaccamento e di dipendenza nella relazione”.Le modalità di resistenza al contatto sono:Introiezione: è emerso un bisogno, con cui l’individuo non può identificarsi (perché immaturo, o riprovevole), né allontanarlo, egli assume come propri bisogni e desideri dell’ambiente, rinunciando alle capacità personali. L’individuo impiega la propria energia per minimizzare le differenze dall’altro.Proiezione: è emerso il bisogno, l’individuo si dirige verso l’ambiente carico di eccitazione, ma non si sente in grado di sostenerla. L’emozione non è riconosciuta dall’individuo come propria e la sposta sull’ambiente e attribuisce all’altro ciò che egli sente. L’individuo impiega la propria energia per mantenere al di fuori di sé ciò che è minaccioso per la propria autostima.Retroflessione: l’individuo si blocca nel suo agire per paura di un contatto distruttivo o conflittuale e ritorce verso sé e il proprio corpo l’energia. Ha la convinzione di essere poco interessante per l’altro e non reclama nulla per sé.Confluenza: stato di non differenziazione, caratterizzato dall’assenza della percezione del confine, dalla mancanza di contatto e consapevolezza. Tutto rimane nello sfondo, poiché non c’è differenziazione tra l’individuo e l’ambiente, necessaria per l’emergere di una figura dallo sfondo. L’individuo non riconosce la novità o l’eccitazione, sta con il conosciuto.Deflessione: distoglie dal contatto diretto, toglie calore al contatto. L’individuo impiega la propria energia per evitare o smorzare il calore del contatto.

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