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Stili di attaccamento e psicopatologia nell’età adulta

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Dott.ssa Monica Vivona

Per conoscere gli stili di attaccamento, leggi Gli stili di attaccamento nell’infanzia.

Gli studi che hanno studiato direttamente il legami tra tipo di attaccamento e psicopatologia nell’età adulta forniscono evidenza che l’attaccamento insicuro è uno dei fattori di rischio di psicopatologia.

Radici relazionali dei Disturbi di Personalità

I disturbi di personalità sono raggruppati, nel Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali DSM IV, in tre cluster:

  • Cluster A – Bizzarro/Eccentrico (Disturbo Paranoie di Personalità. Disturbo Schizoide di Personalità, Disturbo Schizotipico di Personalità).
  • Cluster B – Drammatico/Emotivo/Incostante (Disturbo Antisociale di Personalità, Disturbo Borderline di Personalità, Disturbo Istrionico di Personalità, Disturbo Narcisistico di Personalità).
  • Cluster C – Ansioso/Pauroso (Disturbo Evitante di Personalità, Disturbo Dipendente di Personalità, Disturbo Ossessivo-Compulsivo di Personalità).

1. Cluster A: Bizzarro/Eccentrico

I soggetti di questo cluster hanno avuto un attaccamento spesso trascurante da parte del caregiver, la madre appare stranamente incompetente a sintonizzarsi con i bisogni profondi dei figli, e questi, anche se formalmente accuditi, sembrano incapaci di cogliere i propri ed altrui stati psichici, di empatizzare con essi. Il padre può apparire spesso una figura distruttiva, non contenuto dalla moglie. Questi individui, per sfuggire dall’esperienza angosciante di essere soli di fronte alla propria/altrui rabbia, potrebbero ritirarsi in un mondo di pensieri propri, difendendosi dalla frustrazione con una sorta di anestesia psichica e convertano la rabbia in freddezza e disprezzo. Questi pazienti sembrano dipendere più dalle cose e dalla loro costanza che dalle persone, quasi si difendessero dal più instabile mondo relazionale attraverso la prevedibilità del mondo inanimato (computer, la propria stanza, le proprie abitudini…). Dipendono cioè dalla costanza dell’ambiente e reagiscono con disagio, rabbia o persecutorietà in tutti i casi in cui le loro aspettative o previsioni vengono alterate. Raramente hanno legami affettivi e prediligono la solitudine. In questo clima di deprivazione affettiva caratterizzata dall’evitamento, il bambino, spesso dotato intellettivamente, è allevato con schemi rigidi (“devi”, “non devi”), da caregiver presi dalle proprie priorità e non responsivi. Poggiandosi sull’attività di autostimolazione con attività ripetitive/sedative, il bambino impara a difendersi controllando l’ambiente e ritirandosi nei suoi pensieri, nel tentativo di fabbricare un mondo in cui gli eventi dolorosi non esistano o possano essere dimenticati.

2. Cluster B: Drammatico/Emotivo/Incostante

Questo cluster è caratterizzato dall’uso dell’emotività come modalità di espressione di sé e di influenza delle relazioni interpersonali. E’ il raggruppamento del “Non Controllo Emotivo”, manifestato sotto vari aspetti.Il tema del non controllo rimanda all’epoca in cui il controllo viene proposto nello sviluppo (fase del NO) e fa ipotizzare una manovra inconscia di un bambino di due anni che, arrabbiato, fa scenate e si oppone, un bambino fragile, insicuro, angosciabile. Se appare più lagnoso che combattivo diventerà forse un istrionico, se appare più prepotente, che non vuol sentir ragioni potrebbe diventare antisociale, se viene fatto sentire superiore e speciale potrebbe sviluppare aspetti narcisistici. Se è eccitabile ed angosciabile ad un tempo potrebbe avere un futuro tratto borderline. L’insicurezza sottostante a queste risposte rimanda ad un legame di attaccamento ambivalente.

Acquisire controllo sui propri impulsi è un’operazione che richiede:

a) uno stato di relativo benessere (se non hai benessere e quiete, ma sei pressato dall’urgenza del bisogno non riesci/non vuoi controllarti e vivi il controllo esterno come violento e ingiusto,

b) una persona che ha l’autorità di imporlo ed è interessata a farlo, cosa che raramente hanno avuto le madri di questo cluster sia perché fragili (quindi poco autoritarie), sia perché depresse (quindi non hanno la forza o la voglia di farlo). La persona che insegna controllo deve avere fiducia in se stessa, avere a cuore il bambino, farlo stare bene, rendendolo così collaborante.

Ciò per questo cluster non avviene. Su questa base le reazioni del bambino oscillano dal panico, perché si accorge di essere affidato ad una persona che non sa/non vuole occuparsi di lui, a vissuti compensatori di potenza sul saper fare a proprio modo, saper provvedere a se stesso, al saper sostenere e sopportare la figura di riferimento, saper fare a meno di un’adulto di riferimento, saper sedurre una figura sostitutiva con le proprie qualità. L’effetto di eccitamento di queste manovre compensatorie è proporzionale al panico che il soggetto sperimenterebbe se non riuscisse ad attivarle e rappresenta l’euforia di essere riuscito a sfuggire ad un vissuto di vuoto e di privazione grazie alle proprie risorse. Risorse che purtroppo spesso risultano insufficienti ai compiti eccessivi di auto-allevamento o di supporto dei genitori con cui l’individuo si misura. Tutto ciò dà vita a modelli operativi interni che deflagrano quando i vissuti di autonomia della vita adulta richiedono adattamento come espressione di sicurezza interna e di equilibrata regolazione.

3. Cluster C: Ansioso/Pauroso

Questo cluster è caratterizzato dal vissuto di preoccupazione dei soggetti e dal dubbio su di sé. In questo cluster appaiono frequentemente tratti dell’attaccamento ansioso ambivalente o evitante. Sembra esistere un collegamento tra la dimensione relazionale dell’ipercontrollo e tutto il cluster C. Volendo distinguere, da questo punto di vista, le tre categorie del cluster C, si potrebbe parlare di controllo iperprotettivo per i dipendenti, controllo basato sulla vergogna per gli evitanti, controllo basato sull’eccesso di regole e disciplina per gli ossessivi. Il cronico sentimento d’inadeguatezza che caratterizza i pazienti di questo cluster può provenire dalla sproporzione tra lo sviluppo e i compiti di inversione dei ruoli che i genitori chiedono ai figli. Le madri spesso si comportano da sorelle dei figli, chiedono loro di riempire le loro solitudini, di sedare le loro ansie, di dar loro soddisfazione con i loro successi necessari a migliorare la loro autostima. I padri appaiono insicuri, insensibili, chiedono ai figli di non dare problemi. La sproporzione del compito rispetto alle forze possedute da questi individui li rende ansiosi.

L’individuo può reagire all’ansia:

1) il dipendente sperimentando la propria insicurezza, incapace di affermare un proprio obiettivo,

2) l’evitante rifiutando di farsene carico e nello stesso tempo temendo il giudizio,

3) l’ossessivo cercando in una rigida regola esterna un giusto ancoraggio.

Psicoterapia della Gestalt

Le precoci esperienze di attaccamento determinano modelli non acquisiti definitivamente. I modelli di un’esperienza precoce di attaccamento insicuro possono essere riorganizzati. Questo è ciò che accade nella psicoterapia: nel rapporto con il terapeuta il paziente ha l’occasione di ricevere una risposta alle sue esigenze di attaccamento diversa da quella ricevuta prima dai genitori e poi da eventuali partner affettivi.

Percepire nel paziente una capacità di entrare in relazione, vuoi con noi, vuoi con altri, rimanda ad un attaccamento ambivalente o sicuro. Al contrario la distanza, l’irraggiungibilità, la mancanza di empatia ci parleranno di un attaccamento evitante. Situazioni meno nette, con aspetti di polarizzazione contrastanti, ci fanno ipotizzare un attaccamento disorganizzato. Nella relazione psicoterapeutica, l’individuo può cambiare le proprie aspettative sull’ambiente e sugli altri, quindi cambiano i suoi MOI. Il terapeuta si pone come base sicura, offre disponibilità emotiva, empatia e sostegno, conforta, aiuta a regolare le emozioni, e questo fa si che il paziente possa dipendere e poi andare verso l’autonomia. “La cura è un co-costruire lo sfondo dell’esperienza di relazione”. Il terapeuta proporrà al paziente modalità diverse da quelle che ha appreso nel suo originario ambiente: per il paziente che non è stato visto, accolto, protetto, vivere la relazione terapeutica, reale e significativa, fa nascere la fiducia e riattiva le energie nella direzione dell’autorealizzazione.

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